R. Ridolfi, “Crisi Covid-19, dall’emergenza al Green Deal”
R. Ridolfi, “Crisi Covid-19, dall’emergenza al Green Deal”

[di Roberto Ridolfi* gia’ Direttore della Commissione Europea, gia’ Ambasciatore dell’Unione Europea e architetto del piano di investimenti esterni della UE e’ Vice Direttore Generale aggiunto della FAO] Siamo ad un bivio storico da cui l’Europa può uscire rafforzata o rischiare l’idea stessa di Unione e dello stesso mercato interno. Tutti gli Stati membri hanno molto da perdere dal venir meno del principio dell’interesse condiviso in un momento così delicato. Dopo il 2008 con una crisi del sistema finanziario ci vollero quattro anni per arrivare ad una soluzione; ma che ha funzionato bene solo per alcuni, creando maggiori disuguaglianze, con l’Italia che non ne è mai uscita completamente. L’approccio necessario ora è da ricostruzione e la coesione territoriale a scala europea diventa fondamentale al fine di impedire che la ricostruzione sia asimmetrica e la crisi aumenti le disparità. Come e’ successo dopo il 2008 quando l’Italia ha perso oltre il 20% della sua capacita’ produttiva che non ha piu’ recuperato. Le risorse a scala continentale devono essere adeguate a questi obiettivi. Il rigore deve essere nell’analisi di scenario dei prossimi dieci anni non nel seguire regole contabili create in tempi economici molto diversi.

L’Europa intergovernativa non funziona benissimo; serve un’Europa con processi democratici e politici condivisi: piu’ democratica. Il Covid-19 accelera sintomi di altre gravi malattie. La crisi climatica sarà più grave del virus anche se più lenta; lo scacchiere geopolitico diventerà piu’ complicato quando le pressioni migratorie riprenderanno; le disuguaglianze sociali, la mancanza di lavoro e le carenze dei sistemi di salute saranno sempre meno sopportabili. Questi sono solo alcuni esempi tra i tanti che dovranno essere affrontati sempre più a livello europeo come l’Unione ha dimostrato, in positivo sul cambiamento climatico e, piu’ recentemente con il green deal. Occorre quindi limitare le imperfezioni dei meccanismi intergovernativi dando più spazio di mediazione e di costruzione al Parlamento Europeo e alla Commissione Europea, costruendone il meccanismo nel Bilancio dell’Unione. Il Bilancio comune europeo è povero: si tratta solo dell’1% del Pil europeo, circa 140 miliardi all’anno. Questa crisi lo dimostra. La vera solidarietà comincia da qui e non dai dejà vu del Consiglio perennemente diviso da interessi nazionali.

Il punto cruciale e’ avanzare schemi validi e rigorose filosofie di spesa direttamente a segno nella strategia europea di ricostruzione e sviluppo all’interno del new green deal .

Analisi

Qualcuno suggerisce di non usare la parola solidarietà quando si discute di politica europea. Parliamo di cifre allora. “I dati di fronte a noi a breve/medio termine sono una riduzione dal 10 al 15 % del PIL Italiano, 150-200 miliardi; mentre nell’Ue abbiamo stime di riduzione intorno ai 1500 miliardi. Queste cifre richiedono interventi enormi e credibilità. Misure in varie forme sono previste ma soprattutto prestiti pubblici. Il debito pubblico andrà a peggiorare arrivando a fine anno verso il 150% del Pil 2019 (magari oltre 160% del PIL 2020) quindi insostenibile. A quel punto la UE, e ancor più l’Eurozona se ne dovrà occupare, di fronte a rischi di default e quindi con maggior difficoltà in un clima ancora più asimmetrico di oggi. Giustamente la Commissione stima almeno 1500 miliardi necessari in tutta l’Ue. Devono essere finanziati con tassi d’interesse uguali per tutti per non fare della medicina di salvataggio un veleno di ulteriore diseguaglianza. Quando Il Governatore della BCE Draghi disse “BCE will do whatever it takes”, disse anche “it will be enough”, riferendosi alla quantità, e, ancora più importante, concluse con “believe me”. Senza il secondo ed il terzo elemento della frase, il Whatever it takes non avrebbe funzionato. Anche oggi occorrono i tre elementi per iniettare fiducia nel mondo da ricostruire. Questa fiducia l’Europa non la ottiene se agisce in modo asimmetrico ma solo se agisce fortemente nell’interesse comune. Il Consiglio europeo se ne deve occupare immediatamente, come giustamente l’Italia chiede, con strumenti di finanziamento emessi e gestiti dalla Ue per contenere l’incendio in una stanza oggi ed evitare che bruci tutta la casa europea domani.

I mercati economici e finanziari ci dicono ora quanto già dicevano nel 2008 negli Stati Uniti: il whatever it takes americano ha funzionato. Oggi, con un accordo bipartisan al Parlamento statunitense, questo “credo” vale 2200 miliardi di dollari di iniezione nell’economia americana, senza esitazioni e subito: il 10 % del PIL. Le parole pasquali di Papa Francesco, con la sua visione lungimirante e coerente, rivolte all’Unione europea, rimangono illuminanti, di ammonimento ed esortazione al tempo stesso: “Dopo la Seconda Guerra Mondiale, questo amato continente è potuto risorgere grazie a un concreto spirito di solidarietà che gli ha consentito di superare le rivalità del passato. È quanto mai urgente, soprattutto nelle circostanze odierne, che tali rivalità non riprendano vigore, ma che tutti si riconoscano parte di un’unica famiglia e si sostengano a vicenda. Oggi l’Unione Europea ha di fronte a sé una sfida epocale, dalla quale dipenderà non solo il suo futuro, ma quello del mondo intero. Non si perda l’occasione di dare ulteriore prova di solidarietà, anche ricorrendo a soluzioni innovative. L’alternativa è solo l’egoismo degli interessi particolari, con il rischio di mettere a dura prova la convivenza pacifica e lo sviluppo delle prossime generazioni”. C’è da sperare che il Presidente del Consiglio europeo, i Capi di Stato e di Governo europei, il Presidente della Commissione e il Presidente del Parlamento europeo possano ispirarsi a queste parole dopo il positivo avvio del negoziato su base comunitaria e “non solo” intergovernativa per il Consiglio del 23 aprile.

La proposta

La proposta si basa sull’utilizzazione dei fondi ma e’ legata alla giustificazione del luogo per il loro reperimento. Sulla base dei 25 anni passati nell’Ue ad occuparmi di finanziamenti per lo sviluppo sostenibile e blended finance, suggerisco un modesto contributo. All’Italia occorrono 200-250 miliardi senza che il loro finanziamento diventi occasione di attacco da parte della speculazione nei mercati finanziari, generando l’indebolimento economico, politico anche come mercato di un paese fondatore dell’Unione.

I finanziamenti arriveranno e quindi dobbiamo rispondere all’Europa e a noi stessi in primis se il sistema Italia sarà all’altezza. Questa domanda se la pongono in molti e non deve essere vista in modo offensivo ne retorico. Noi tutti conosciamo le difficoltà nello spendere i fondi strutturali europei, nell’intraprendere riforme strutturali, nel garantire la stessa qualità della spesa in diverse parti del territorio nazionale.

“Nell’analizzare gli strumenti allo studio e per essere operativi nel medio periodo, sembra chiaro che l’Italia potrebbe dotarsi di una sua arma operativa a struttura mista pubblico/privata che si potrebbe chiamare Banca della Ricostruzione Sostenibile (certamente partendo dal gruppo Cassa depositi e Prestiti, CDP utilizzandone tutte le strutture di base), con strumenti finanziari innovativi (convertible loans into grants, subordinated, mezzanine and senior debt, equity venture, junior and promoter grants, convertible bonds, guarantees) differenziati e incentivati nel grado di sostenibilità sociale, ambientale ed economica dell’operatore o dell’investimento o di entrambi, che, federando anche istanze regionali, potrebbe promuovere investimenti – tutti certificati sostenibili -attraverso protocolli messi a disposizione dalle agenzie tecniche nazionali e internazionali (come per esempio la FAO per i food systems).

Una garanzia prevista all’80% potrebbe coprire al 90 a al 100% se gli investimenti fossero in conformita’ con gli SDGs e anticipatori dei criteri del green deal (che sono gia’ ampiamente noti). Possiamo definire questo un Covid19-deal verso il green-deal europeo. Infatti queste operazioni verrebbero fatalmente tutte o quasi, co-finanziate su scala europea (in linea con ed anzi anticipando la messa in opera del green deal) ma anche da istituzioni finanziarie terze come fondi pensione, visto che tutti cercano al momento occasioni sostenibili di finanziamento in Italia per equity funds. Possiamo quindi immaginare uno scatto in avanti verso il green deal attraverso questa operazione di ricostruzione e quindi un maggiore allineamento e capacità per il consolidamento tra qualche anno del green deal europeo/mondiale. Si tratterebbe di un cambio di passo e di paradigma economico per l’Italia, visto che negli ultimi dodici anni l’economia italiana ha avuto difficoltà superiori a quelle di altri stati dell’Unione. Potrebbe essere l’occasione per l’Italia di evitare di restare indietro e ancor più distante da altri paesi europei.

Una banca per la ricostruzione e lo sviluppo basati sulla sostenibilità ambientale e sociale, oltre che economica. Con gli SDG, obiettivi di sviluppo sostenibile . Come detto questa istituzione comincerebbe ad operare dal gruppo CDP per poi eventualmente staccarsi, ispirata e finanziata da un Fondo SDG Italia di nuova concezione, totalmente legato alla metrica della sostenibilita’ cosi ben definita (e accettata da tutti i paesi del mondo) nell’agenda 2030.

Mentre aspettiamo che i modelli educativi economici e di scienze sociali si trasformino completamente e che nuove generazioni di leaders assimilino paradigmi di sostenibilità corretti, occorre fare proposte concrete per l’uscita dalla crisi. Il Fondo SDG Italia vuole andare in questa direzione. La pandemia Covid-19 ha esaltato i nodi globali di mancanza di inclusione, insostenibilità ambientale, povertà, migrazione di massa…

Per Il “Piano per gli investimenti esterni” della Ue, che è il più grande esempio di blended finance finora concepito nella cooperazione internazionale per lo sviluppo, mi sono ispirato alla sostenibilità e all’inclusione sociale ed economica che ne sono parte. Il sistema di incentivi per coprire con garanzie gli investimenti di cui abbiamo parlato sara’ quindi legato stabilmente ai 169 obiettivi e ai 244 indicatori di sviluppo sostenibile definiti begli OSS.

La banca della ricostruzione che gestira’ il Fondo dovrà prevedere l’attivazione complementare di strumenti finanziari, fiscali, assicurativi ma anche tecnici che incentivino e accompagnino gli attori economici a investire in quantità decisamente più ampie e soprattutto ispirate decisamente dalla metrica della sostenibilità.

Ciò richiede precise scelte di politica industriale e di gestione delle risorse. Forse questa potrebbe essere definita la piu’ grande decisione di politica industriale del nostro paese.

Questo strumento (il combinato di Banca e di Fondo) e’ adatto per gli investimenti interni ma anche per quelli esterni diventando (per la parte esterna) nell’ambito della cooperazione internazionale l’Italian Development Fund” per lo sviluppo sostenibile di cui si e’ cominciato a discutere.

Dalla necessità di dare uno scatto in avanti alla cooperazione europea di fronte alla migrazione abbiamo scritto il Piano degli investimenti esterni da cui è nato the European Fund for Sustainable Development nel 2017 . La crisi Covid sta accellerando delle riflessioni gia’ in essere.

Un serio e duraturo programma di sviluppo del bi-continente Afro-Europeo richiede che si vada al di là di impegni simbolici e atti di testimonianza. Ad oggi manca uno strumento di natura globale in grado di mobilitare una adeguata massa critica di risorse a dono che sono indispensabili per produrre l’effetto leva su investimenti a prestito o equity 10-20 volte superiori.

Il Fondo SDG Italia dovrebbe essere moltiplicato a livello globale. La proposta dovrebbe essere lanciata dal G7 e dal G20 approfittando di quello nel 2021 a guida italiana, magari con il sostegno di leaders religiosi e delle autorità morali nel pianeta e con il sostegno finanziario concreto di chi possiede immensi patrimoni. Questi fondi SDG potrebbero fare leva sui fondi pensione attraverso la destinazione per legge di una quota dei loro assets (2-3%), legando i destini delle nuove e delle vecchie generazioni e rappresentando una potente categoria paradigmatica e simbolica del bond di solidarietà tra generazioni. Potrebbero anche essere oggetto di una donazione volontaria da parte dei patrimoni più consistenti e al di sopra di una certa soglia. Possiamo immaginare una donazione una tantum del 2-3% su patrimoni eccedenti il primo milione di dollari di assets e oltre alla prima casa di proprietà. Tale misura – una forma di contributo totalmente volontario per la sostenibilità – graverebbe solo sui patrimoni molto alti (patrimoni, non redditi) e consentirebbe di generare, con opportuni investimenti, globalmente volumi di replenishment oltre i 35-40 miliardi di dollari annui. Ogni paese potrebbe avere il proprio Fondo ma tutti lavorerebbero con principi simili legati agli SDGs ed il Fondo SDG Italia sarà appunto associato alla banca della ricostruzione per operare in Italia e all’estero.

In attesa del cambio totale dei modelli economici di riferimento, in mano alle generazioni future, oggi noi potremmo immaginare in Italia un impegno di questo Fondo per sostenere anche la produzione e la commercializzazione di prodotti ecosostenibili per promuovere produzioni bioagricole e bioalimentari, con i quali avviare la conversione green del continente europeo e l’industrializzazione sostenibile del continente africano. È anche il modo per bloccare la tendenza a ridurre le risorse per le politiche di cooperazione, che ora con il Corona virus rischiano il collasso.

In questa fase ancora di emergenza, parlare di una nuova Banca per la ricostruzione e di un nuovo fondo per gli SDGs potrebbe sembrare fuori luogo ma credo che non lo sia. D’altronde basterebbe che i citati principi (di incentivazione progressiva, di addizionalità, di rigore scientifico sulla sostenibilità, di impegno civile e solidale nel finanziamento) alla base della Banca della Ricostruzione e del Fondo SDG, siano applicati in maniera disciplinata e strutturata alle azioni che si vanno ad intraprendere ad opera delle istituzioni preposte, per avere una grande qualità della spesa ed un effetto trasformativo e strutturante (di politica economica) della stessa verso il mondo nuovo anche coadiuvata da interventi legislativi di sostegno, fiscali, regolamentari etc).

*Le opinioni espresse da Roberto Ridolfi sono del tutto personali e non riflettono in alcun modo le posizioni ufficiali della FAO.