L. Mansi, “La sindrome del 12 settembre: pericoli e rischi nell’infezione da COVID-19”
L. Mansi, “La sindrome del 12 settembre: pericoli e rischi nell’infezione da COVID-19”

[di Luigi Mansi, Professore, Coordinatore Sezione “Salute e Sviluppo” del CIRPS]  In un momento così drammatico, la informazione e le direttive sulla epidemia da coronavirus Covid-19 dovrebbero essere espresse esclusivamente da esperti individuati da autorità nazionali, seguendo linee di condotta internazionali. Tali messaggi vanno definiti sulla base di un attento confronto scientifico e istituzionale, che tenga in considerazione le specifiche situazioni locali, in tempo reale per rispondere alla attualità degli eventi. Criteri differenti possono essere applicati in territori peculiari, ma a condizione che siano definiti all’interno di una strategia complessiva unica, che garantisca la salute di tutti e non crei conflitti territoriali. Le misure devono quindi essere adottate da una cabina di comando, a componente politica e tecnica, che deve esprimersi con una regia univoca, guidata da criteri rigorosamente scientifici.

Non potendosi evitare l’esplosione mediatica, che mescola opinioni di esperti, talora in contrasto tra loro, con l’inconsulta presenza di inesperti invitati a parlare sulla base di una notorietà indipendente dalla competenza scientifica, occorre definire strategie che abbiano la capacità di individuare ed eliminare l’informazione impropria. Servono azioni che, rispettando i diritti fondamentali delle persone, considerino anche misure restrittive e punitive per chi può creare, attraverso la mala-informazione,  problemi diretti o indiretti alla salute della popolazione.

Partendo da tali presupposti, non voglio aggiungere l’ennesimo parere sulla pandemia in atto, pur essendo un medico, per decenni professore universitario. In particolare, non voglio esprimere uno dei mille messaggi sul virus o la pandemia che verrà superato in tempi brevi dal rapido susseguirsi degli eventi. Ci sono esperti migliori di me sul Covid-19 ed è dannoso aggiungere nebbia ad un’informazione globale dove può diventare difficile discriminare il vero dal falso, l’utile dall’inutile, la chiarezza dalla confusione.

Più produttivo è attivare una riflessione basata sulla mia esperienza di medico nucleare che, per oltre 45 anni, si è sviluppata in ambiti clinici, di ricerca e di didattica. Analizzerò quindi cosa si può imparare, nella comprensione dei rischi e dei comportamenti associati all’infezione da Covid-19, partendo dalla lezione che si ricava dall’analisi dei rischi da radiazioni ionizzanti alla base della Medicina Nucleare, mio campo di competenza a partire dal 1972.

I motivi di questo collegamento sono legati al fatto che radiazioni ionizzanti e Covid-19 sono accomunati dal fatto di essere percepiti entrambi come la “morte invisibile”, un nemico invincibile e onnidistruttivo, che arriva senza segnali e contro il quale non è possibile far niente.

Senza articolare troppo analiticamente il discorso, parto da alcuni cardini della mia lezione introduttiva al corso universitario di diagnostica per immagini, affrontando in questo scritto due punti principali: 1) differenza tra rischio e percezione del rischio (sindrome del 12 settembre); 2) differenza tra pericolo e rischio.

La sindrome del 12 settembre.

Il 12 Settembre 2001, giorno successivo all’attacco alle Twin Towers, milioni di persone rifiutarono di prendere un aereo, senza alcuna motivazione razionale. Tutti avevano paura di volare, in qualsiasi parte del mondo, ipotizzando che nel proprio aereo avrebbe potuto esserci Bin Laden o un suo accolito, pronto a determinare una nuova catastrofe. Per definire questa situazione ho coniato il termine di “Sindrome del 12 settembre”, che esprime una “patologia” dove la fisiologica e utile “paura”, che serve ad evitare i pericoli, viene sostituita da un sentimento informe dove si raccolgono e concentrano panico, angoscia e irrazionalità. La parola chiave che definisce questo sentimento è “pregiudizio”, inteso come identificazione irrazionale della verità in una entità nella quale l’opinione personale individua come certezza obbligatoria, per analogia con eventi apparentemente simili, la peggiore delle ipotesi possibili, anche se questa è la meno probabile di tutte. Questo avviene per il prevalere della paura, che si accende fino a diventare fuoco inarrestabile, nutrendosi di scintille irrazionali confermative che alimentano il falò. La paura irrazionale ha più nutrici, quali la fragilità emotiva e la stupidità, ma la sua vera madre è l’ignoranza, intesa come non conoscenza dei fatti e/o opinione formata (e successivamente confermata) dalla mala-informazione.  

La sindrome del 12 settembre si esprime quindi attraverso azioni determinate dal pregiudizio, che non considera il rischio reale ma la sua percezione, amplificata dalla paura irrazionale. Se facciamo riferimento all’evento delle Twin Towers, la probabilità che un’azione terroristica si verificasse su un volo  del giorno successivo era vicina allo zero. Andrebbe anzi  evidenziato che, parlando di mezzi di locomozione, il rischio di morire nell’aria il 12 settembre 2001 era, se fossero state rispettate le percentuali di un giorno standard, di almeno 20 volte inferiore a quello associato alla guida di un auto e 400 volte inferiore, nel caso si fosse usato uno scooter.

Curare questa sindrome è molto difficile perché, come diceva Albert Einstein : Es ist schwieriger ein Vorurteil als ein Atom zu zerstören (È più difficile distruggere un pregiudizio che un atomo).

Applicando la sindrome del 12 settembre alla medicina nucleare, il nucleare buono che aiuta a salvare ogni anno milioni di persone, il pregiudizio nasce dall’identificazione della minima quota di irradiazione associato all’esame (dello stesso ordine di grandezza rispetto a quella che riceve un pilota di aereo in meno di 100 ore di volo) con gli eventi tragici di Hiroshima, Chernobyl, Fukushima. I rischi associati a un esame “scintigrafico” con radiazioni sono invece estremamente bassi rispetto, ad esempio, alla naturale incidenza di cancro, equivalendo al rischio di arrampicarsi in montagna per 75 minuti o a quelli presenti in 17 ore di vita normale di un uomo di 60 anni. Per capirci meglio, ricordando che moltissimi farmaci possono avere effetti collaterali anche letali, si può dire che la medicina nucleare sta a Hiroshima e Chernobyl come un farmaco sta a un veleno. E nessuno evita di prendere un’aspirina , quando necessario, pur essendo chiaramente scritto nelle istruzioni che prendere questo diffusissimo farmaco può portare a morte (per fortuna in casi estremamente rari, come sono rarissimi i casi di morte attribuibili agli esami medico nucleari).

 

Bisogna avere paura e rispetto per il Covid-19.

La sindrome del 12 settembre, vale a dire il panico collegato al senso di ineluttabilità del fato, sta colpendo molti in conseguenza della tragica esperienza collegata  all’infezione da Covid-19.

Sono assolutamente consapevole della gravità di questa pandemia e ne ho paura e rispetto, che bisogna sempre avere di fronte ad un nemico potente e dotato di armi parzialmente sconosciute, non avendo tra l’altro ancora a disposizione un fucile in grado di combatterlo con efficacia. Ma cerco di affrontare i rischi collegati al Covid-19 razionalmente, volendo conoscere e capire, rispettando le prescrizioni, eliminando i pregiudizi.  

Come sempre, è la conoscenza che aumenta la consapevolezza dei rischi reali, partendo dalla rimozione dei collegamenti inappropriati. Anche se non è possibile avere oggi un quadro definitivo dei numeri, in termini di infettati e deceduti per colpa (o in presenza) di questa infezione, è importante conoscere preliminarmente alcuni eventi  collegabili o meno ad essa, per aumentare la consapevolezza, utile a sopportare l’adozione di misure di difesa personale e di gruppo “non gradevoli”, senza cadere nel panico e senza lamentarsi troppo.

Per capire se la strada sulla quale si sta muovendo l’epidemia da Covid-19 verso la pandemia ha percorsi drammaticamente obbligati verso una elevatissima mortalità è opportuno acquisire un’informazione su alcune caratteristiche di epidemie/pandemie che potrebbero essere viste come modelli sovrapponibili. Mi riferisco in particolare a 2 delle epidemie più spaventose degli ultimi decenni, vale a dire l’AIDS e l’epidemia da virus Ebola, alle 3 pandemie influenzali più importanti del secolo scorso, cioè la “spagnola”, “l’asiatica” e “l’influenza di Hong Kong”, alle 2 principali epidemie da Coronavirus che già sono avvenute, la SARS e la MERS.

Ma prima di acquisire questa informazione, per meglio definire il pericolo da Covid-19, ritengo utile ritornare al secondo cardine della mia lezione inaugurale del corso universitario di medicina nucleare, quello che analizza la differenza tra pericolo e rischio.

 

Differenza tra pericolo e rischio.

Un errore tipico dell’approccio irrazionale alla morte invisibile, sia essa ipotizzata come effetto del nucleare buono o dell’infezione da Covid-19, è confondere rischio e pericolo, che sono legati tra loro dal rapporto che leggete qui sotto.

 

Rischio  =      probabilità x pericolo

                          Fattore serietà

 

Rimandando ad un’analisi successiva la valutazione del parametro che ho chiamato “fattore serietà”, partiamo dall’esame del rapporto tra rischio e pericolo.

Collegare il rischio alla probabilità che il pericolo si manifesti significa che un pericolo grandissimo può non determinare rischi se ha una bassa probabilità di esprimersi; al contrario, un pericolo apparentemente insignificante può determinare rischi maggiori rispetto a quelli collegati al grande pericolo, se si manifesta quasi sempre.  

Per far capire questo concetto faccio riferimento ad un esempio.

  1. Precipitare da una montagna di 2000 metri è sicuramente più pericoloso che cadere da un marciapiede.
  2. La probabilità di cadere da una montagna di 2000 metri è vicina a 0, se ci si trova a 200 metri dal precipizio.
  3. La probabilità di cadere da un marciapiede è altissima se si hanno 95 anni e si cerca di rimanere in equilibrio su un piede.
  4. Il rischio di morire è più alto nel caso C rispetto al caso B; cioè cadere dal marciapiede può essere più rischioso che precipitare da una montagna di 2000 metri.

A questo punto, dalla equazione di sopra riprendiamo alcune definizioni e spieghiamole:

  • Probabilità = esposizione + suscettibilità
  • Esposizione = agente patogeno (letalità/intensità/numerosità) + tempo di esposizione
  • Suscettibilità = genetica, storia biologica, status generale, habitat, lavoro, caso, etc.
  • Fattore serietà = rispetto regole, informazione, formazione, etc.
  • Strumenti di difesa = ruolo variabile, in funzione della correttezza dell’uso

L’analisi che faremo verrà rivolta al rischio di morire, che è cosa ben diversa dal rischio di infettarsi. Un’apparente contraddizione ci fa capire anzi che tanto più è alta la letalità dell’agente patogeno, tanto più bassa è la sua diffusione, perché i pazienti gravi e quelli deceduti bloccano la catena di trasmissione della malattia (tranne che nei contesti protetti, come gli ospedali, nei quali devono essere chiaramente aumentate le misure di sicurezza e le precauzioni).

Come detto in premessa, il mio ragionamento parte dalla medicina nucleare e dall’analisi del suo pericolo, legato al fatto che, pur essendo bassa la radioattività usata per gli esami scintigrafici, è relativamente alta la probabilità di determinare una mutazione. Questa probabilità è però di poco superiore al tasso di mutazione naturale (le mutazioni naturali avvengono in continuazione e in numero significativo per ogni individuo, essendo legate ad esempio alla radiazione ambientale o alle radiazioni cosmiche, che aumentano in montagna rispetto al livello del mare).

Fortunatamente, solo una piccolissima parte di queste mutazioni porteranno a morte e questo perché: 1) una mutazione letale uccide la cellula, che non potrà quindi diventare neoplastica; 2) una mutazione in sede non critica non determina cancro; 3) una mutazione in sede critica può essere corretta dai meccanismi di riparazione intracellulare, bloccando quindi l’evoluzione verso il cancro; 4) una cellula con una mutazione critica non corretta evolve verso il cancro solo se si verificano in coincidenza o in successione una serie di eventi che hanno una bassa probabilità di verificarsi insieme; 5) la nascita di una cellula neoplastica non porta necessariamente ad un cancro, perché le difese dell’organismo sono in grado di bloccare una larga parte delle cellule neoplastiche all’inizio; 6) il tumore può svilupparsi, ma con caratteristiche benigne, che non modificano la durata di vita del soggetto, che muore per altre cause.

Sarà quindi estremamente ridotta la percentuale di soggetti che, ricevendo “poche” radiazioni dalla medicina nucleare, moriranno a causa di essa. Questo avverrà soltanto in casi estremamente sfortunati, nei quali si realizzano insieme tutte le condizioni più sfavorevoli. Per capire questo concetto, viene introdotto il  termine di rischio stocastico, che significa che un soggetto ha una probabilità di avere un tumore collegabile alla medicina nucleare indipendente dal numero di esami scintigrafici ai quali si sottopone. In altre parole, è la stessa situazione che si verifica nel Superenalotto: si può vincere con una colonna e non vincere con una schedina di un milione di colonne. Ma tutti noi sappiamo che vincere al Superenalotto è estremamente improbabile.

Altro concetto che possiamo traslare dalla medicina nucleare alla infezione da Covid-19 è quello della suscettibilità. Essendo il bersaglio delle radiazioni ionizzanti, quello sul quale si verificano mutazioni, il DNA in moltiplicazione, avremo che i rischi maggiori saranno più alti là dove ci sono più cellule che si moltiplicano. Quindi i rischi sono più grandi per il feto e i bambini rispetto alle persone anziane. Allo stesso modo, è molto più radiosensibile, e quindi soggetto a mutazioni, il midollo osseo che forma in continuazione le cellule del sangue, essendo invece molto bassa la probabilità che le radiazioni determino un tumore cerebrale, perché le cellule del cervello sono in larga parte perenni, cioè non si moltiplicano.

Trasferiamo ora questo ragionamento, nei suoi punti salienti, alla infezione da Covid-19.

Partiamo dal concetto che la probabilità che un evento si verifichi dipende dall’agente “pericoloso” e dal singolo individuo che è esposto a questo agente. Relativamente all’agente patogeno, la sua pericolosità dipende in primis dalle caratteristiche biologiche, ricordando che esse possono cambiare in seguito a mutazione del ceppo virale. Fondamentale è anche la via di trasmissione. Il Covid-19, come tutti sanno, si trasmette principalmente per via  inalatoria, attraverso le gocciole di Flugge o droplets, e la trasmissione aumenta con sternuti e tosse. Pur essendo possibile una diffusione diversa, legata ad esempio all’inclusione/adesione del virus alle polveri con persistenza nell’aria per un periodo che può raggiungere anche diversi minuti,  le gocciole, avendo una massa, hanno un tragitto nello spazio condizionato dalla gravità e dalla potenza della loro espulsione. La distanza alla quale arrivano sarà quindi chiaramente maggior in presenza di uno sternuto, rispetto a quanto avviene durante una normale conversazione o la respirazione fisiologica. E’ anche importante ricordare che la trasmissione prevalente avviene grossomodo all’interno di un cono, che ha il suo vertice sulla bocca dell’infettante e la sua base, in media, ad un metro di distanza da essa. Questo significa che il rischio di infezione si riduce non solo in collegamento con la distanza, ma anche con la propria posizione nei confronti dell’infettante. Esso è maggiore quando ci troviamo di faccia o in basso rispetto al contagiato, minore quando siamo di spalle o più in alto. Come detto, dati recenti sembrano indicare che esiste la possibilità di un’adesione del virus alle polveri sottili, che possono modificare la cinetica con un trasporto al di fuori dell’angolo solido precedentemente delineato. Tale rapporto può quindi far variare la distanza e il tempo entro il quale può avvenire il contagio. Ma il meccanismo fondamentale del contagio si esplica prevalentemente entro lo spazio di un metro a partire dalla bocca dell’infettante.

E’ anche noto che la trasmissione può avvenire attraverso assorbimento orale, derivante dalla contaminazione ambientale da parte del virus, in conseguenza dell’azione delle mani portate frequentemente a bocca ed occhi. Questo spiega perché è fondamentale lavare spesso e bene le mani e pulire accuratamente le superfici sulle quali potrebbe depositarsi il virus.  

Parlando di contagiosità del virus, vediamo che questa aumenta in relazione ai seguenti parametri: 1) carica virale, che dipende anche dalla sua capacità di sopravvivere all’esterno del portatore dell’infezione e alla via di introduzione nell’organismo; per quanto riguarda il Covid-19 dovrebbe esistere una maggiore pericolosità in caso di inalazione rispetto alla ingestione, anche per la presenza di maggiori difese nel canale digerente rispetto al respiratorio; 2) numero dei contagiati presenti nel raggio di trasmissione del virus, che vuol dire: evitare gli assembramenti. Questo vuol dire anche difendere nel modo più rigoroso e “potente” i professionisti della sanità che si trovano per lavoro in un contesto di grande pericolo, per la presenza di molti infettati ad alta carica virale. Questo vale, anche se in misura minore, per tutti i lavoratori a contatto con colleghi e la popolazione generale, che vanno salvaguardati quindi in modo prioritario; 3) individuare precocemente in ambiente protetto, cioè soprattutto a casa, le persone che potrebbero essere malate. I rischi maggiori sono infatti spesso presenti nei posti che vengono considerati più sicuri, perché in tali contesti si adottano meno misure precauzionali e si abbassa la guardia e l’attenzione. Occorre quindi favorire la diagnosi precoce di malattia, insegnando a tutti ad individuare i sintomi precoci, adottando immediatamente le misure necessarie. 

Attenzione: l’azione dell’agente contagiante dipende non solo dal numero dei contagiati , ma anche dal tempo di esposizione al contagio. Questo significa che non è solo necessario evitare gli assembramenti, ma anche che occorre ridurre al minimo il tempo di contatto con le singole persone delle quali non si ha certezza dello stato di malattia. Quindi attenti alle file, ai supermercati e negli altri luoghi non solo per la loro lunghezza: chiacchierare per mezz’ora con il proprio vicino, inconsapevolmente infetto, aumenta molto la possibilità di contagio. Quindi occorre rispettare rigorosamente, ad abundantiam, la distanza di 1 metro, cercando di non mettersi di faccia alle persone che non si conoscono (dal punto di vista sanitario). Allo stesso modo, non bisogna fermarsi “a chiacchierare” oltre il tempo necessario.

Suscettibilità: anche se non è possibile trarre dati conclusivi, che potrebbero essere diversi per differenti aree geografiche, la suscettibilità al Covid-19 appare dipendere da genetica (sembra esserci una protezione dal contagio nei soggetti con 0 Rh-), genere (favorite le donne), età (favoriti i bambini). La minore suscettibilità dei bambini viene da alcuni spiegata con la possibile difesa immunitaria crociata determinata dalle vaccinazioni infantili. Anche se questo meccanismo non è stato verificato ancora con certezza, è interessante notare che abbia un collegamento con quanto si verificò nella pandemia di Hong Kong del 1968, nella quale ci fu un numero di persone anziane decedute in percentuale minore rispetto a quanto previsto. La spiegazione fu quella della probabile presenza di una memoria immunologica, acquisita precedentemente, verosimilmente in occasione della pandemia influenzale “asiatica” del 1957, presente soprattutto nelle persone più anziane. Assolutamente critiche, per le conseguenze negative sulla evoluzione della malattia, sono le condizioni di fragilità legate ad esempio a immunodepressione, patologie cardiorespiratorie, diabete, età avanzata (intesa come conglomerato di malattie).

Habitat e attività lavorativa. Nella probabilità di infezione e morte entrano anche il contesto ambientale e l’attività lavorativa. Relativamente all’habitat, al momento sono aree critiche quelle del nord Italia, con particolare riguardo alla Lombardia, mentre sono chiaramente a maggior rischio tutti i lavori che espongono al contagio, in primis quelli nella sanità, ma anche per le forze dell’ordine e negli uffici pubblici, i lavoratori nei supermercati, nelle fabbriche, nelle banche e nei negozi aperti, etc. L’effetto dell’ambiente, più che al ruolo positivo del sole e delle alte temperature, sembrano collegabili all’effetto negativo concomitante dell’inquinamento atmosferico. Ferma restando la possibile spiegazione del cluster di diffusione lombardo con eventi come quello della partita Atalanta-Valencia del 19 febbraio, le aree di maggiore mortalità sembrano prevalenti nei territori della pianura padana più contaminati da polveri sottili. Tale condizione, che va ulteriormente  verificata, potrebbe incidere sull’aumento del tasso di contagio, attraverso un più ampio e irregolare diffondersi delle particelle virali, in caso di loro adesione al pulviscolo. La maggiore fragilità polmonare dei fumatori, in relazione all’abbassamento delle difese respiratorie (clearance muco ciliare, alterazione stromale, risposta infiammatoria, etc.), potrebbe far ipotizzare che il legame virus-polveri possa anch’essa  permettere un’azione patogena del virus più dannosa ed estesa a livello parenchimale ed interstiziale polmonare.  Questa ipotesi potrebbe essere rafforzata da una ricerca che dimostri la presenza di aumentata letalità anche nei fumatori. In altre parole, il virus riesce, in presenza di inquinamento o nei fumatori, ad arrivare meglio al bersaglio polmonare, con un’azione patogena favorita dalle minori difese dei soggetti fumatori e/o degli individui, soprattutto anziani, che vivono in aree fortemente inquinate dallo smog.

 

Il fattore serietà. Nella equazione qui sotto:

 

Rischio  =      probabilità x pericolo

                          Fattore serietà

il fattore serietà è al denominatore. Questo significa che quanto più è rigoroso il rispetto delle regole, tanto più basso diventa il rischio. Nella formula ho volutamente usato il termine fattore serietà e non soltanto quello di rispetto delle regole, perché in questo concetto esistono altri elementi che vanno presi  in considerazione. Mi riferisco in particolare alla corretta informazione, che crea un dovere di serietà, competenza ed onestà nei comunicatori e un dovere di attenzione negli ascoltatori, e alla formazione. E’ importante che tutti apprendano (o imparino di nuovo) la correttezza di comportamenti anche apparentemente banali, come lavarsi le mani o disinfettare le superfici.

 

Strumenti di difesa. Più complesso è il giudizio sugli strumenti di difesa, come mascherine e guanti. Infatti, il loro uso ha un ruolo importante di prevenzione esclusivamente nel caso vengano utilizzati strumenti idonei nel modo corretto. Ad esempio, non ha nessun senso utilizzare mascherine che hanno una trama a fori troppo ampi, che permettono il passaggio delle particelle virali. Allo stesso modo, è illogico e può diventare addirittura pericoloso usare per molti giorni mascherine monouso, spesso lasciate in ambienti tutt’altro che “puliti”. Si possono così determinare pericoli di infezione, spesso batterica, in caso di condizioni igieniche non rispettate.

Ritengo quindi assolutamente “obbligatorio” fornire di tutti i migliori strumenti di difesa adeguati i lavoratori sanitari e tutti quelli che sono obbligati ad avere contatti con gli altri. Per la popolazione generale,  mascherine e guanti idonei possono essere utilizzati, anche come presidio psicologico, ma stando bene attenti ad evitarne un uso che possa sostenere addirittura il contagio e/o li trasformi in strumenti che favoriscono infezioni.

Covid-19 a confronto con altre epidemie/pandemie.

Ritorniamo al concetto di sindrome del 12 settembre e alla necessità di ridurre la componente irrazionale nella percezione del rischio. Ognuno di noi ha tanto meno paura quanto più si sente protetto, o quanto più ha risposte razionali e convincenti alle domande che scatenano panico, se rimangono senza risposta. Se non c’è informazione “rassicurante”, per molte persone l’ipotesi che viene considerata più probabile è sempre la peggiore. Quindi, per acquisire tranquillità, diventa importante anche conoscere la storia dei rischi reali di eventi simili, che si sono già verificati precedentemente, per definire i limiti di pericolosità entro i quali l’evento attuale, l’infezione da Covid-19, può andare a collocarsi.

A questo proposito, è quindi utile un rapido confronto con le più importanti epidemie/pandemie avvenute nell’ultimo secolo, includendo la “influenza spagnola” del 1918-19 , le pandemie influenzali del 1957 (asiatica) e 1968 (Hong Kong), le più importanti epidemie pregresse da coronavirus (SARS e MERS). Eliminiamo dal confronto l’AIDS,  che  ha determinato molti milioni di morti in tutto il mondo, e l’infezione da virus Ebola che, pur avendo causato un numero di decessi nettamente minori, rimanendo localizzata quasi esclusivamente in alcune aree africane, ha un altissimo tasso di letalità. Ritengo infatti inutile una loro comparazione con l’infezione da Covid-19,  perché hanno meccanismi di trasmissione, bersagli patologici e caratteristiche epidemiologiche che non hanno punti in comune con la malattia che vogliamo conoscere meglio. Richiedono quindi misure di prevenzione e controllo epidemiologico non correlati con la trasmissione prevalente per via respiratoria, che è quella che caratterizza in genere le epidemie influenzali e da coronavirus.  Il confronto viene quindi fatto con le infezioni a prevalente trasmissione respiratoria.

Partiamo, senza soffermarci, dalle “apparentemente banali” influenze stagionali, che hanno un’incidenza invernale, in periodi quindi diversi nei due emisferi. Va qui detto che le “normali epidemie influenzali” hanno la capacità di determinare ogni anno molte migliaia di decessi, in particolare nella popolazione fragile di età superiore ai 70 anni ed inferiore ai 2, soprattutto nei casi in cui i soggetti a rischio non si siano sottoposti a vaccinazione. In presenza di un’altissima  contagiosità, essendone colpite annualmente milioni di persone, è fortunatamente bassa la letalità, che produce comunque ogni anno la morte di migliaia di pazienti.

Raramente, l’influenza può assumere una diffusione pandemica, e questo avviene o per la particolare virulenza del virus o per peculiari condizioni epidemiologiche.

Le più importanti pandemie influenzali del XX secolo sono state quella del 1957, chiamata asiatica, e l’influenza di Hong Kong del 1968, che hanno causato più di 1 milione di morti. La più letale è stata la influenza del 1918-1919, denominata impropriamente “spagnola”, essendo stato dimostrato che la sua origine sia partita non dall’Europa, ma dalla Cina o dagli Stati Uniti.

Le vittime della “spagnola” furono probabilmente tra 50 e 100 milioni e questo per una serie di concause tutte negative, che determinarono un altissimo tasso di infezione, accresciuto dall’alta letalità dell’agente virale. Senza soffermarci troppo sulla descrizione della malattia, è opportuno ricordare che ebbero un ruolo estremamente negativo fattori come lo stato di guerra e la concomitante condizione di promiscuità, la completa assenza di misure di prevenzione e di restrizione, la malnutrizione e la debilitazione generale, le insalubri condizioni igieniche, il fatto che non fossero ancora disponibili antibiotici, in grado di curare le sovra infezioni batteriche. A livello etiopatogenetico, sembra che abbia avuto effetto negativo anche lo scatenamento di una tempesta citochimica, che influenzò drammaticamente la resistenza dei soggetti infettati. A dimostrazione della peculiarità di quella pandemia, che non può essere quindi presa a paragone dell’attuale epidemia da Covid-19, va ricordata la prevalenza dei decessi in soggetti giovani,  presenti sul fronte di guerra e quindi più esposti all’infezione, essendo invece tipica nelle epidemie influenzali una più alta letalità nei pazienti con età superiore ai 70 anni ed inferiore ai 2.

L’assenza del contesto bellico e la presenza degli antibiotici, che permettono di curare le sovra infezioni, hanno reso meno drammatiche le due pandemie recenti più importanti, quella asiatica del 1957 e l’influenza di Hong Kong del 1968. Entrambe hanno comunque determinato centinaia di migliaia di morti, con una quota rilevante legata anche alla trasmissione nosocomiale, che determinò un’alta diffusione della infezione nella popolazione ospedalizzata, sia per la fragilità dei pazienti, che per il minor controllo preventivo, rispetto ad oggi, delle infezioni del personale sanitario coinvolto nelle azioni terapeutiche. 

Un aspetto particolarmente interessante, a livello epidemiologico, è quello che vide una anomala distribuzione delle percentuali di infezioni e decessi per classi di età nella pandemia di Hong Kong del 1968, con una quota relativamente ridotta di soggetti anziani deceduti. La spiegazione potrebbe essere individuata nella presenza di una memoria immunologica, posseduta prevalentemente dagli individui che erano venuti a contatto precedente con ceppi influenzali simili a quelli che determinarono la pandemia.

La continua mutazione dei ceppi virali influenzali rende al momento impossibile un’immunità completa verso tutte le future infezioni influenzali. Questo rende necessaria la produzione annuale di nuovi vaccini anti-influenzali, distinti tra l’altro per gli emisferi boreale e australe. L’esperienza del 1968 è però un forte stimolo ad una ricerca che porti alla produzione di un vaccino universale o comunque all’adozione di strategie di prevenzione primaria o mediche, in grado di limitare il più possibile l’infezione alla fase di focolaio.

Qualche cenno anche sulle due più importanti infezioni determinate finora da coronavirus, la SARS e la MERS.

La sindrome respiratoria acuta grave  (Severe acute respiratory syndrome, SARS) è stata determinata dal virus SARS-CoV, manifestandosi come forma atipica di polmonite virale o sindrome da distress respiratorio, spesso sin dal suo esordio. La trasmissione all’uomo, come per il Covid-19, partiva dai pipistrelli (avendo in quel caso come vettore intermedio gli zibetti).

Insorta nel novembre 2002 in Cina, vennero registrati, fino al luglio 2003, 8096 casi e 774 morti, anche se i casi ed i decessi potrebbero essere stati in numero superiore. La patologia respiratoria acuta, di difficile controllo, fu causa di una alta letalità (9,6%), soprattutto in Cina. La diffusione della malattia, che arrivò a 17 paesi, venne ben ricostruita attraverso una precisa individuazione della maggioranza dei pazienti portatori. In particolare, essendo stato non semplice il controllo epidemico in Cina e Vietnam, per l’arretratezza del sistema sanitario, l’occultamento di parte dell’informazione e la ridotta capacità di adottare efficienti misure di prevenzione,  molto efficace fu la strategia di contenimento negli altri paesi interessati all’infezione. In Canada, grazie all’ottimo sistema sanitario, che permise la rapida individuazione e l’immediato isolamento degli infetti, il focolaio rimase limitato quasi esclusivamente alla città di Toronto e la malattia venne debellata in poche settimane. Molto efficace fu anche la strategia di filtro attuata in Europa, attraverso rigorosi controlli agli aeroporti e ai porti, con i pochi soggetti infetti o sospetti di malattia che vennero immediatamente messi in quarantena.

La MERS-CoV (sindrome respiratoria mediorientale da coronavirus, Middle East Respiratory Syndrome, MERS), anch’essa  a trasmissione originata dal pipistrello e causata da coronavirus ,  si è espressa con un tasso di letalità del 34% (fino al 65% in alcune aree), mostrandosi più grave rispetto alla SARS, il cui tasso di letalità era stato inferiore al 10%. Al contrario, era verosimilmente più basso il tasso di contagiosità e questo spiega i dati epidemiologici meno drammatici di come ci si sarebbe aspettati. Diagnosticata nel 2012 in Arabia Saudita, ha avuto diffusione prevalentemente in Medio Oriente, con l’individuazione di 842 casi registrati, 322 dei quali deceduti. Nella riduzione della contagiosità va dato merito alle autorità saudite che sconsigliarono il pellegrinaggio alla Mecca (hajj), contingentando il numero di fedeli e inibendo in particolare alle persone anziane.

 

Come evitare la sindrome del 12 settembre nella infezione da Covid-19.

Diceva Niels Bohr, premio Nobel per la Fisica nel 1922: “E’ molto difficile prevedere, specialmente il futuro”. Faccio questa premessa perché non voglio arrogarmi la presunzione di capire tutto e soprattutto di riuscire a leggere nella “palla di vetro del domani”. Ma voglio comunque chiudere questa mia nota con deduzioni, che auspico razionali, e speranze che vorrei realizzate.

Ritornando al titolo, comincio con l’affermare che per evitare questa sindrome associata alla  infezione da Covid-19, la prima cosa è capire che è impossibile che questa pandemia diventi una nuova “febbre spagnola”, con decine di milioni di morti. Il numero sarà quasi certamente inferiore e, nella più pessimistica delle previsioni, potrebbe raggiungere le migliaia di morti. Ritengo  improbabile che si raggiungano le centinaia di migliaia di morti che si ebbero nelle pandemie del 1957 e del 1968, perché allora non vennero adottate le misure di prevenzione al contagio, che si stanno attuando adesso. Questo numero, che comunque sembra enorme e lo è in termini di vite umane, è estremamente piccolo in termini percentuali rispetto ai 7 miliardi di persone che vivono il nostro mondo.

Ma la cosa più importante da capire è che non è assolutamente vero che il Covid-19 sia la morte invisibile ed invincibile contro la quale non c’è niente da fare. Al contrario, è già evidente che questo virus si possa combattere e vincere e questo è chiaramente dimostrato dalla esperienza cinese e, in misura minore, da quella coreana. Perché questo avvenga è assolutamente necessaria la serietà e la serietà richiede l’impegno personale di ognuno di noi.

Dipende da noi la possibilità di collegare al pericolo associato al corona virus un rischio estremamente più basso rispetto a quello massimo possibile.

Dobbiamo essere seri, ottimisti e credere nel fatto che abbiamo una responsabilità diretta sul futuro dei nostri figli, dei nostri cari meno giovani, di noi stessi. E pensando al futuro, dobbiamo già da adesso porci domande e cercare risposte che ci permettano di trasformare questa catastrofe anche in opportunità.

In questa direzione sarà fondamentale capire che, non esistendo frontiere per i virus, occorre una strategia e solidarietà nazionale ed internazionale. Occorre combattere perché vengano  aumentati gli investimenti sulla ricerca, sul sistema salute, sull’ambiente, su un più intelligente e sostenibile modo di vivere.

Dobbiamo impegnarci tutti insieme per continuare a vivere, ma ancora di più dobbiamo iniziare a lottare per non trasformare la nostra vita in semplice sopravvivenza. Il nostro obiettivo deve essere iniziare a lavorare già da adesso per costruire un mondo migliore.

Trasformiamo questa tragedia in opportunità, crediamo all’ottimismo come forza motrice del nostro futuro.